
Room – Lenny Abrahamson – 2015
Il mondo rinchiuso dentro ad una stanza
Dentro “Room” vi sono poche ma essenziali cose: una lampada, un serpente di uova , un armadio piccolo ma accogliente che funge da rifugio per la notte, un lucernario che dà sul cielo ma soprattutto c’è “Mà”. Room è tutto il mondo di Jack, 5 anni dei quali nessuno trascorso al di fuori di questa stanza. Al di là della parete e al di sopra del lucernario c’è invece Cosmo, mentre dentro la tv, che ogni giorno guarda con Mà, un universo magico ed irreale.
Il mondo di Jack, in realtà, è un’intera e gigantesca bugia. Jack e Mà sono prigionieri in dieci metri quadrati. Poco spazio che equivale, però, anche a tanto amore. Oltre che anche a molto rancore. Old Nick si vede poco, è lui l’artefice di tutto, è lui ad aver causato tutto questo, ma nella storia lui non riveste che un ruolo marginale, secondario, come inferiore può solo essere l’anima di una persona che rinchiude una ragazza di 17 anni in un bunker microscopico, sottraendola alla sua famiglia e alla sua vita, credendo, con legittimità di causa, che d’ora in avanti possa diventare cosa sua.

L’angoscia lascia il posto alla libertà che apre una voragine di disperazione
La prima parte di Room è angoscia, claustrofobia, disordine ma nello stesso tempo anche tenacia e forza. Perfettamente complementare è la seconda ora di film: ad una prima lettura potrebbe risultare più rassicurante, leggera, ordinata ma l’incubo sa rivelare l’altra faccia della medaglia, quella che i giornali non raccontano mai, fatta di pura realtà, apatia e disperazione, nella quale anche un solidissimo cordone ombelicale può sfibrarsi dopo anni di sevizie.
Ciò che lega queste due parti di Room così diverse ma anche così complementari tra loro è una scena di totale libertà, tanto da togliere il fiato, che coglie il momento in cui gli occhi di un bambino di 5 anni si posano per la prima volta sul cielo blu posto sopra la sua testa.
Room è drammaticità e potenza, emozione e tragicità , ma è anche il disagio in pellicola perché la spensieratezza non è mai potuta entrare in questa stanza. Quando scopriamo le atroci storie di cronaca nera da cui ha preso spunto il film (“Room” si basa sul romanzo di Emma Donoghue che, a sua volta, si è ispirata ad una storia veramente accaduta in Austria ) non possiamo che rimanere sbigottiti, increduli, inorriditi. E “Room” non può esimersi dal far provare questi stessi sentimenti anche ai suoi spettatori.
Ma per fortuna non si ferma solo qui. Il regista Lenny Abrahamson sbriciola la prigione di “Room” sotto i nostri occhi, scardina la porta e la lascia aperta: vuole far volare nel cielo la fantasia, l’unica in grado di portare via anche questa brutta realtà.
Voto 7.5/10
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